l 24 agosto del 1943 Ettore Muti, ex segretario del Pnf (Partito Nazionale Fascista), fu prelevato dalla sua abitazione, condotto nella vicina pineta di Fregene e lì brutalmente assassinato. Pochi dubbi esistono sui mandanti di tale omicidio. Soltanto quattro giorni prima il maresciallo Pietro Badoglio indirizzava al capo della Polizia Carmine Senise un biglietto dal tenore inequivocabile: “Muti è sempre una minaccia. Il successo è solo possibile con un meticoloso lavoro di preparazione. Vostra eccellenza mi ha perfettamente compreso”.
Non sarà solo un caso se pochi giorni dopo lo stesso Badoglio annunciava dalla sede capitolina dell’Eiar l’armistizio con gli anglo-americani. Restano, invece, ancora avvolte nella nebbia delle congetture le reali motivazioni che portarono alla eliminazione fisica di Ettore Muti. Il personaggio, in vero, era assai “ingombrante” e non solo per i suoi incliti trascorsi di soldato e di aviatore che gli avevano riempito il petto di medaglie. Muti incarnava la figura del perfetto fascista, tutto d’un pezzo, incorruttibile, poco incline ai compromessi e alle soluzioni di comodo.
Se n’era accorto persino Mussolini quando, su indicazione di Ciano, nell’aprile del 1939, subito dopo la campagna di Albania, lo aveva posto a capo del Pnf. Muti si gettò nell'incarico con grande impegno e inflessibile zelo. Era convinto che per funzionare bene il partito doveva essere smantellato e ricostruito su basi nuove, eliminando quella ragnatela clientelare che avviluppava l’intero apparato. Per questo si circondò di uomini fidati, scelti per lo più tra i suoi vecchi compagni d’armi. Le idee e i propositi erano buoni, anzi eccellenti. La realtà, però, si dimostrò assai diversa. La sua azione riformatrice ben presto si inceppò e lui stesso comprese che era giunto il momento di togliere le tende e di tornare sul campo di battaglia.
Cosa che fece con rinnovato entusiasmo. Dopo la caduta del fascismo (25 luglio 1943) Muti, al pari di tanti altri gerarchi del disciolto regime, si era affrettato a garantire fedeltà al Re e al nuovo governo. Lo stesso Badoglio non si era mostrato troppo severo con i fascisti tanto è vero che ne gettò in prigione soltanto un migliaio. Con Muti, poi, intratteneva rapporti di assoluta normalità. Gli aveva addirittura affidato un paio di missioni. La prima consisteva, considerati i suoi buoni rapporti con gli ufficiali tedeschi, nel cercare di capire quali intenzioni avessero gli alleati, specie dopo l’allontanamento del Duce. Inoltre, e questo era il secondo incarico, doveva convincere la divisione corazzata Camicie Nere di stanza a Bracciano a togliere la M di Mussolini dalle mostrine cosa che, coerentemente alla sua indole, rifiutò sdegnosamente di fare.
Ma allora perché Badoglio ordinò la sua fine? Come mai, tutto ad un tratto, Ettore Muti era diventato così pericoloso? Sono proprio questi gli enigmi che vanno svelati. Una cosa, comunque, è certa: a partire da un determinato periodo di tempo Muti iniziò ad essere considerato una gravissima minaccia per il tremebondo Maresciallo d’Italia e per il suo governicchio post fascista. Ma per quale motivo? Al riguardo si possono fare alcune ipotesi, tutte più o meno attendibili. Partiamo innanzitutto dalla macchinazione politica. Dopo la drammatica seduta del Gran Consiglio del Fascismo e l’ascesa di Badoglio a capo del governo, la situazione in Italia restava fortemente critica. Mentre i bombardamenti degli alleati continuavano a martoriare tutte le più importanti città della Penisola (terribili quelli del 5 agosto a Napoli e del 15 a Milano) mietendo un gran numero di vittime civili, la popolazione manifestava sempre più segni d’insofferenza. Evaporata l’illusione della cessazione delle ostilità, i problemi si erano tutti riproposti nella loro imponenza e il nuovo esecutivo non sembrava in grado di varare provvedimenti idonei, al di là di alcune rigide disposizioni e divieti che finivano solo per esacerbare gli animi. Qualcuno fece constatare che si era caduti dalla padella alla brace. La camicia nera e l’orbace avevano ceduto il posto al grigio-verde dei badogliani. E intanto il subdolo maresciallo tesseva la sua tela.
Da un lato riaffermava la fedeltà all’alleato tedesco, dall’altro, invece, brigava, neanche tanto di nascosto, per cercare di giungere a un accordo con gli anglo-americani. Due soluzioni antitetiche che non potevano coesistere e che invece l’ineffabile Badoglio, non sapendo che pesci prendere, si ostinava a mantenere in piedi. E così, inevitabilmente, scoppiarono disordini un po’ dappertutto. A Milano, a Torino, a Reggio Emilia, a Genova, a La Spezia, a Trieste e a Bari la gente scese in piazza a manifestare il suo disappunto. Le forze dell’ordine spararono sui cortei di operai e di studenti e si contarono parecchie vittime. In questo marasma ci fu qualcuno che pensò di ripristinare il vecchio stato di cose. Solo riportando in sella Mussolini e il fascismo si poteva sperare di mettere fine ai disordini, alle proteste e alla confusione dilagante, con un governo debole e incapace che stava portando la nazione allo sfascio.
Occorreva, insomma, una nuova marcia su Roma che potesse restituire all’Italia la dignità perduta, contando anche sulla preziosa collaborazione dei tedeschi. La riscossa doveva essere preparata attraverso l’opera di persone fidate, la cui tempra fosse al di sopra di ogni sospetto. Un ruolo che si confaceva perfettamente a Ettore Muti, eroe di guerra e, soprattutto, fascista convinto e irriducibile. Il governo in carica, ovviamente, doveva essere esautorato: era questo il primo, indispensabile passo per favorire la restaurazione fascista. Perché meravigliarsi, allora, se Badoglio, all’improvviso, decise di far sopprimere Muti? Ritenendolo a capo di un complotto nazifascista diretto a rovesciare la sua poltrona, non poteva che agire in tal modo. Ma non è questa l’unica pista. L’ex segretario del Pnf conosceva molto bene l’ambiente spagnolo per averci combattuto a lungo e con ottimi risultati. Proprio nella penisola iberica, nella seconda metà del 1943, specialmente dopo l’uscita di scena di Mussolini, gli emissari del governo Badoglio avevano intavolato trattative con gli anglo-americani per procurare l’uscita dell’Italia dalla guerra.
E se Muti, attraverso le sue amicizie, fosse venuto a conoscenza di ciò? Se fosse entrato in possesso di documenti compromettenti che svelavano l’intenzione dell’Italia di mantenere il piede in due staffe? Ecco un’altra buona, anzi, ottima ragione per chiudergli per sempre la bocca. Resta da considerare, infine, un altro scenario, forse più fantasioso ma sicuramente inquietante. Qualche mese prima della sua morte Muti era stato inviato dal Sia, il Servizio Informazioni dell’Aeronautica Italiana, in missione in Spagna. A quanto pare lo scopo era quello di recuperare il radar di un velivolo statunitense precipitato sul suolo iberico. Un compito molto delicato considerato il ruolo che il radar svolgeva nelle operazioni aeree e navali. Non sappiamo come la cosa sia andata a finire né se questo era il vero motivo del viaggio in Spagna. Ma ammettiamo, sia pure per ipotesi, che Muti fosse venuto a conoscenza di importanti segreti militari: cosa vieta di pensare ad una sua eliminazione eseguita per nome e per conto degli alleati?
La morte dell’ex gerarca fascista, inoltre, potrebbe anche essere stato uno dei primi dazi da pagare per il buon esito delle trattative burrascose che in seguito sfoceranno nell’armistizio. Prima di concludere un’ultima annotazione. Il 25 agosto del 1943 l’agenzia Stefani diramava il seguente comunicato: “A seguito di accertamento di gravi irregolarità nella gestione di un ente parastatale, nel quale risultava implicato l’ex segretario del partito fascista Ettore Muti, l’arma dei Carabinieri procedeva nella notte dal 23 al 24 agosto corrente al fermo del Muti a Fregene. Mentre lo si conduceva alla caserma sono stati sparati dal bosco colpi di fucile contro la scorta. Nel momentaneo scompiglio egli si dava alla fuga ma inseguito e ferito da colpi di moschetto tirati dai Carabinieri, decedeva”.
Questa la versione riportata anche nel rapporto stilato dal tenente Taddei, l’ufficiale incaricato di eseguire l’arresto. Si era proceduto, quindi, alla cattura di un alto ufficiale dell’aeronautica in piena notte, con così grande spiegamento di forze, soltanto sulla base di alcune irregolarità riscontrate nella gestione di un ente parastatale. Non sembra singolare tutto ciò? C’è, inoltre, un particolare che scompagina il tutto. Nel berretto che Muti indossava quella sera, entrato poi in possesso dei familiari, sono stati rinvenuti due fori provocati dai proiettili. L’uno, quello d’entrata, si trovava in corrispondenza della nuca. Il foro d’uscita, invece, era sulla visiera. Tutto lascia supporre che il colpo sia stato sparato da una distanza ravvicinata e non durante un tentativo di fuga, come recitava il rapporto.
Si era trattato, in parole povere, di una vera e propria esecuzione. Muti era stato freddato con il classico colpo alla nuca. Uno dei Carabinieri che quella sera partecipò all’azione, tale Antonio Contiero, interrogato in seguito da alcuni esponenti della Repubblica Sociale non ebbe difficoltà ad ammettere che si trattò di un omicidio. Per ciò che concerne le altre persone presenti nella villa quella notte e che furono testimoni oculari dell’accaduto, nessuno ebbe il coraggio o la voglia di parlare. Evidentemente la questione scottava troppo. Eppure qualcuno doveva aver visto o sentito qualcosa. Uno di essi, tale Roberto Rivalta, vecchio amico di Ettore Muti, che quella sera dormiva alla villa, raccontò di aver visto un uomo vestito con una tuta color kaki, sulla quarantina, basso, stempiato, con una forte inflessione napoletana che, almeno secondo l’inchiesta condotta dai giudici di Salò, sarebbe stato l’esecutore materiale del delitto. Il Rivalta, però, venne subito messo in condizioni di non nuocere. Prima, infatti, fu condotto a Regina Coeli e lì tenuto in carcere per qualche tempo. Riacquistata la libertà se ne tornò a Ravenna dove, poco dopo, fu trovato cadavere con il solito colpo alla nuca. Un altro omicidio, quindi, restò impunito. Ma di lì a breve ciò diventò una prassi tristemente diffusa e consolidata. In Italia era ormai iniziata la guerra civile.