Come detto, Giuseppe Ricciardi non aveva potuto fare nulla per difendere la famiglia. Infatti era da qualche giorno fuori città: si trovava a Prato, dove stava concludendo alcuni acquisti di stoffe per rifornire il proprio negozio. Le indagine iniziarono proprio da lui, per sapere esattamente chi fosse questo individuo. Il Ricciardi, dunque, aveva aperto l’attività durante la guerra, dopo essere scappato dalla sua Catania occupata dagli Americani. Si era piazzato nella via San Gregorio, una delle vie popolari sorte con l’abbattimento del Lazzaretto. Il quartiere era costellato da piccole attività e botteghe, quasi tutte di immigrati provenienti dal Sud Italia. Inizialmente era salito al Nord da solo, poi, sistematosi, si era fatto raggiungere dalla moglie. Ma, forse per problemi economici, o forse perché la moglie non era riuscita ad adattarsi al clima di Milano, l’aveva ben presto rispedita a Catania.
Le voci del quartiere dicevano che lui, il catanese, senza la moglie appariva più allegro e sempre circondato da donnine più o meno rispettabili. Aveva addirittura intrecciato una storia sentimentale con una sua commessa. Ma la moglie, avvertita da compaesani anche loro emigrati a Milano (le avevano scritto di venire a tenere sotto controllo l’ardore dell’amato sposo, di spirito troppo focoso), aveva preso armi bagagli e figli, ed era tornata nell’appartamento di via San Gregorio. Il Ricciardi era stato così costretto a interrompere bruscamente la sua relazione extraconiugale con la commessa, e aveva pensato bene anche di licenziarla, per tacitare ogni possibile futuro sospetto della signora Franca. Poi tutto era tornato alla normalità: la coppia aveva avuto un altro figlio, ed anzi adesso ne aspettava un quarto. Era stata assunta una nuova commessa e il negozio andava avanti come prima, con più bassi che alti.
Grazie alle voci raccolte tra i negozianti e i vicini di casa, le indagini prendevano dunque un’ulteriore svolta: bisognava rintracciare e ascoltare questa ex commessa ed ex amante. Il suo nome era Caterina Fort, per tutti Rina. La Polizia la cercò subito a casa, in via Mauro Macchi all’89, poi presso il suo nuovo impiego, una pasticceria di via Settala 43. Fu arrestata proprio mentre faceva colazione in un bar di fronte al negozio, caricata su una jeep della Celere e condotta in gran fretta presso gli uffici della Questura. L’interrogatorio vero e proprio cominciò il pomeriggio del 30 novembre, a neanche 24 ore dall’omicidio. Ammise subito di aver lavorato in passato per Pippo Riccirdi, ma che oramai non lo frequentava più e non sapeva neppure dove si trovasse.
Dell’omicidio, ovviamente, era del tutto all’oscuro. In ogni caso la condussero il 2 dicembre sulla scena del delitto, poi, davanti alla sua indifferenza, fu riportata in Questura, dove iniziò un lunghissimo e pesantissimo interrogatorio. Raccontò solo, inizialmente, di essere stata l’amante del Ricciardi, quando questi era solo a Milano. Avevano anche convissuto, a partire dal settembre 1945. Poi salita la moglie, tutto era terminato.
Ma chi era Caterina Fort? Era nata nel 1915 a Budoia, in provincia di Udine, si era poi trasferita a Milano per lavorare, prima come domestica, poi come commessa di negozi. Risultava sposata con un certo De Benedetti, ma questi era da tempo ricoverato in un manicomio. Era sifilitica e psicopatica, e quella col Ricciardi non era stata la prima relazione che intratteneva con uomini sposati.